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domenica 25 ottobre 2009

La trave

Le primarie viste dall'opposizione... scusate, dalla maggioranza di governo.

C'era una volta un partito all'opposizione che si vedeva al governo, diceva e agiva come fosse stato al governo. C'è oggi un partito (ma sì! un partito) al governo che dice e pensa come fosse sempre, eternamente all'opposizione. Lo si constata ogni giorno, un partito che per sentirsi sicuro deve attorniarsi di molossi abbaianti e morsicanti. E occhio alle chiappe! come la quotidianità dimostra. Da RagionPolitica.it, il pensatoio di Forza Italia ai tempi di Gianni Bagget Bozzo, riprendo questo articolo sulle primarie del Pd che sono il tema della giornata. E vi invito a leggerlo in maniera distaccata, poi a rifletterci sopra meditando sulle sensazioni che l'articolo ha suscitato in voi. Infine ditevi se è un articolo di chi si fa forte di un consenso maggioritario nel paese o non piuttosto un messaggio preoccupato da una ridotta sperduta in attesa dell'ultimo assalto del nemico. Un nemico tremendo, che mangia bambini. I bambini mai cresciuti di Forza Italia.
Le primarie della molletta.
Rassegna stampa - RagionPolitica.it, Gabriele Cazzulini, 23 ottobre 2009.

«Ci tengo». È il motto, adesso si dice «claim», delle primarie del Pd. Niente di entusiasmante. Nessun incitamento all'azione o al pensiero. Nessuno slancio emotivo. «Ci tengo». Un perfetto messaggio conservatore. Cioè sto fermo, me lo tengo stretto. Ma non c'è un oggetto. A cosa tengo? Non c'è scritto. Forse perché non c'è spazio sufficiente su una molletta. Sì, una molletta come quelle che si usano per stendere i panni lavati. «Ci tengo», su una molletta. Infatti ogni elettore delle primarie riceverà una molletta con «ci tengo».
C'era una volta la falce e il martello. Ora c'è la molletta, per stendere una storia che non ha più un senso. Eppure Bersani non demorde: lui la storia la vuole dotata di senso. È il classico acquirente di auto usate (leggi: comunismo) che però vuole a tutti i costi munite dello stereo più alla moda. La macchina è una carretta; però con lo stereo fa tanto baccano, così qualcuno si accorge che esiste ancora. Franceschini e Marino invece si accontentano di molto meno. Il primo accoglie l'appello di Tremonti a conservare il posto fisso, cioè il suo, e spera che gli elettori gli diano una mano in questo senso. Il secondo si è ritagliato la figura perfetta del jolly che sorride sempre - Marino sui media è sempre il più sorridente dei tre. Bersani deve fare il muso duro del comunista romagnolo col sigaro mezzo spento e la calvizie che divide il suo cranio in due emisferi contrapposti come ai tempi della guerra fredda. Franceschini è un incallito mediano, fa mezze smorfie e mezzi sorrisi - perché con quest'ambigua espressione le spara grosse (vedi l'uscita sui figli di Berlusconi) ma poi si rimangia subito tutto (vedi la critica al rancore storico del comunismo verso le imprese). Se può resta volentieri segretario del Pd, anche se è salito al potere promettendo che si sarebbe presto dimesso. Ipse dixit. Marino invece è il più subdolo perché, a differenza del classico terzo incomodo, lui è comodissimo, infatti non infastidisce, non punzecchia, non contraddice più i suoi due rivali. Riversa i suoi veleni con chirurgica perizia contro Berlusconi. Stop. Così potrà avere comunque uno spazio all'interno del nuovo Pd di Bersani-D'Alema.
È vera competizione questa? Sì, in effetti la lettura partitica di queste primarie è l'interpretazione più realista. Se non fosse così, dopo le primarie dovrebbero seguire le elezioni politiche, ma ciò non è vero. Qui non si sceglie il candidato premier. Si sceglie l'amministratore del Pd. Queste primarie sono un'operazione di potere di partito. La politica non c'entra. Nessuno dei tre candidati possiede piattaforme ideologiche e programmatiche per offrire un'alternativa alla destra. È una competizione, anzi una lotta interna per il potere interno. È in gioco il governo del partito, non il governo del paese. C'erano una volta i congressi del Pci. Ora ci sono le primarie del Pd. Manca sempre il senso di una scelta popolare che, tra Bersani e Franceschini, non produrrà cambiamenti sostanziali. Si ritornerà all'Unione oppure si andrà avanti col Pd che tenta sempre abboccamenti con l'Udc e non rompe mai con l'Idv. È rimescolare la solita minestra. E poi come la mettiamo con eminenze neanche tanto grigie come D'Alema e Veltroni? È strano, ma la conferma che queste primarie siano una manovra di potere interno proviene dal grande interesse più per i loro effetti collaterali - come l'uscita di Rutelli - che non per il profilo stesso del partito.
La sinistra, con o senza questo Pd, non si svita dalla sua crisi cronica. È inchiodata in un accanimento dell'etica (vedi la campagna d'odio contro la privacy di Berlusconi) e della politica («Ci tengo» a votare a priori, ma non so per cosa). Ma la politica non è un sistema di regole da rispettare a prescindere. Anche i grandi dittatori e i loro regimi totalitari portavano a votare grandi masse - ma, forse, il voto non è questione di quanto si vota, ma di come si vota e per chi, cosa si vota. Il Pd non ha ancora capito questa lezione. Per loro basta votare in massa. Tutto il resto viene dopo. O meglio: è nelle mani di altri, dai sindacati alle cooperative, dal potentissimo ceto degli amministratori locali fino alle élites culturali e soprattutto ai media sempre più potenti e prepotenti. Ma questo è un discorso tutt'altro che democratico...
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