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domenica 25 ottobre 2009

«Uno scherzo, un puro annuncio»

«È uno scherzo, quello che ora serve è sostenere bassi redditi e consumi».
Rassegna stampa - Liberazione, Roberto Farneti, 24 ottobre 2009.

«Uno scherzo, un puro annuncio». Massimo Florio, docente di Scienza delle Finanze all'Università statale di Milano, liquida così la promessa («Pronti a tagliare l'Irap fino a cancellarla») ribadita l'altro giorno dal presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, in occasione dell'assemblea degli artigiani della Cna. Per Florio «non esistono minimamente le condizioni in questo momento» per pensare a un intervento del genere, dato che il gettito complessivo dell'imposta è di 38,5 miliardi di euro. Inoltre, «anche in una logica di intervento sulle condizioni macroeconomiche - sottolinea il professore - l'abolizione o la riduzione dell'Irap, va messa tra le misure meno efficaci».
Confindustria è entusiasta, sostiene che abolire questa tassa aiuterebbe le imprese a crescere; la Cgil ribatte che, se si vuole uscire dalla crisi, bisogna invece rilanciare la domanda interna, riducendo le tasse a lavoratori e pensionati. Chi ha ragione?
Se guardiamo a quello che si è fatto in Europa in termini di interventi congiunturali di sostegno all'economia, ci sono pochi dubbi sul fatto che le misure più efficaci siano quelle dal lato della spesa pubblica. Ad esempio, un effetto sulla congiuntura più alta lo si può avere aumentando le pensioni sociali, i sussidi di disoccupazioni, perché quel tipo di contribuenti ha una propensione al risparmio molto bassa, per cui 100 euro in più che ricevono sono 100 euro in più che spendono. Questo ovviamente vale anche per i salariati a basso reddito. Quando invece agisco sul versante della tassazione, il tipo di imposte che ha dimostrato di avere maggiore efficacia dal punto di vista moltiplicativo sono quelle sui consumi, perché determinano una riduzione dei prezzi e quindi maggiori possibilità di acquisto. Questo intervento può essere realizzato, come in alcuni paesi è stato fatto, attraverso una diminuzione dell'Iva selettiva, ad esempio sui beni di prima necessità, quelli di maggiore consumo per la fascia di popolazione meno abbiente. Il problema è evitare che l'alleggerimento della pressione fiscale vada a favore del risparmio, invece che dei consumi.
Ridurre l'Irap alle imprese non serve a riavviare la domanda interna?
No, se non nel lungo periodo. E poi il punto è che non si capisce che cosa il governo voglia concretamente fare. Vuole abolire l'Irap entro cinque anni senza sostituirla con altre tasse? E con il bilancio pubblico come la mettiamo?
La Cgia di Mestre, a proposito dell'Irap, propone di dedurre dalla base imponibile gli interessi passivi. Costo: 3,5 miliardi. Che ne pensa?
Mi sembra un ritorno a un regime fiscale che c'era molti anni fa in Italia e che in sostanza era un perfetto meccanismo per eludere le imposte da parte delle imprese. Le spiego come funziona. Sono un piccolo imprenditore e ho un bilancio che darebbe un profitto tassabile. E allora che cosa faccio? Ho dei risparmi, posseggo dei titoli di debito pubblico, li metto in banca e, a fronte di questo, concordo una operazione di prestito alla mia impresa a un tasso più elevato di quello che avrei se mi autofinanziassi. Porto in deduzione gli interessi passivi e così abbatto il profitto tassabile all'interno dell'impresa. E non pago imposte.
Perché tante polemiche sull'Irap? Francesco Giavazzi, sul Corriere della Sera , parla di «imposta odiosa che colpisce indifferentemente le imprese che guadagnano e quelle che perdono». L'ex ministro Visco, che l'ha inventata, ricorda che l'Irap ha semplificato la vita delle aziende, avendo sostituito sette tasse diverse. Con «un saldo a favore delle imprese», calcola la Cgil, che «dopo il 1998 è stato di 12 miliardi». Chi ha ragione?
L'astuzia dell'Irap fondamentalmente consiste nel fatto di sganciare la base imponibile dai risultati dell'impresa. In un paese in cui le imprese le imposte non le pagano, le evadono, le eludono, Visco si è dovuto inventare un meccanismo che, per un verso, è ingiusto. Il problema di una imposta di questo tipo è che su cento imprese che si dichiarano in perdita, può darsi che ce ne siano dieci che lo sono veramente. Questa "piccola" ingiustizia è a fronte dell'enorme ingiustizia di un sistema di imprese che non paga le imposte nel modo che sarebbe più equo, cioè come imposta sul reddito di impresa.
Non si potrebbe pensare a un modo per rendere questo meccanismo di prelievo fiscale un po' meno "tranchant"?
Un modo ci sarebbe ed è quello di dare la possibilità a chi è effettivamente ha bilanci in perdita, di aprire nei confronti del fisco una procedura per difendersi. Il problema è che questo è anche il paese degli avvocati, per cui è facile prevedere che a quel punto avremo milioni di imprenditori pronti a mettere in moto una procedura per cercare di essere esentati dall'Irap, dicendo che loro sono veramente prossimi alla rovina. Il nostro è un paese complicato da questo punto di vista, per cui tutto quello che si può inventare da un punto di vista tecnico si scontra con una immoralità fiscale talmente diffusa da costringere chi governa a inventarsi dei meccanismi tipo l'Irap.
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