Rassegna stampa, Avvenire, 6 novembre 2009.
Cari amici di Avvenire, leggo oggi (4 novembre, ndr) sul giornale, ed ho ascoltato voci autorevoli del mondo cattolico levarsi contro quello che avete definito, l’«algido laicismo» della Corte europea sulla rimozione del crocifisso. Io, laico e non credente, raccoglierei volentieri l’invito a levar la voce e, se necessario, a fare una delegazione per protestare davanti alla stessa Corte. Ma prima vorrei proporvi una riflessione. Il quadro sociale, culturale, etnico, politico dell’Occidente cristiano sta mutando. Non sta cambiando per una scelta delle classi dominanti e quindi, indirettamente, dei cittadini elettori. Muta perché l’Occidente si è sostanzialmente distratto. Intossicato dall’osceno consumismo di massa. Carissimi amici cattolici, stiamo attenti alle mezze verità che spesso sono più lontane dalla verità della stessa falsità. I laici della Corte e alcuni laici più vicini a noi, come la mia cara amica Bonino, dicono il vero quando parlano di un quadro mutato della nostra società che impone di sapersi mettere dalla parte delle altre culture e sensibilità, giungendo a invocare così una sorta di neutralità dello Stato e degli spazi pubblici. Si tratta di mezze verità che portano alla falsità intera. Non posso spogliarmi di quel che sono anche in questo mio ragionamento e dunque insisto nel presentarmi laico e non credente. E anche questa è una mezza verità che assomiglia quasi a una bugia. Forse io non arrivo a credere in tutto quello in cui crede un buon cristiano, ma tutto, della cultura biblica e neotestamentaria, mi appartiene. Essa mi ha scavato nel profondo. E il simbolo della croce mi appare così poco estraneo, che da anni mi fa compagnia, tutto annerito dal fuoco, accanto al mio letto. È la croce sopravvissuta alla cremazione di mia madre. L’operatore, nel consegnarmi le ceneri, mi dette anche la croce di ferro che stava sulla bara. Quella croce che mia madre scelse come viatico mi accompagna da anni, silente, discreta, eloquente. Tra le diverse comunità presenti in Occidente, quella che solleva più problemi è l’islamica. Quando qualcosa di tremendo viene commesso da un non cristiano scatta un vero e proprio accanimento. E quasi mai ci limitiamo a dire che era tunisino o marocchino o montenegrino. Islamico, ci suona meglio.
Qualcuno di loro è arrivato però perfino a dire che quella figura di uomo emaciato, coperto di spine e trafitto al costato, offenderebbe per la sua nudità. Chi è così occhiuto da vedere la nudità del Cristo in una società che ci ha abituato alla nudità più oscena ed esibita? E non alludo ai percorsi tristi e clandestini dove si addensa la totale mancanza di amore, di fantasia e di gioia. Alludo alle strade delle nostre città, all’esposizione mediatica, alle stazioni ferroviarie. Il viaggiatore che alla Stazione Termini di Roma corre al treno troverà, dieci volte più grandi delle tabelle dei convogli in partenza, le mutande di Armani nelle più audaci posture. Sono abbastanza laico da non scandalizzarmi. Ma che c’entrano con la stazione ferroviaria della città capitale d’Italia? La città che ospita il centro della cristianità. E perché non metterle allora nelle aule scolastiche o nei tribunali, sempre a corto di soldi? Così al posto di quell’«osceno» Cristo in croce, avremo delle sensualissime mutande che aiuteranno certo nella concentrazione i nostri studenti e i giudici nelle loro sentenze.
Scherzo per nascondere la mia stizza. Ma come si fa a non capire che stiamo ogni giorno perdendo nel confronto con l’islam? Facciamo la guerra al velo riempiendo ogni spazio pubblico con la nudità più volgare, perché non canta il corpo della donna, ma la donna fatta pezzi per indurre all’acquisto di una merce qualsiasi.
E infine cari amici: diamoci una mossa e proviamo ad indignarci contro i nostri sindaci, di qualsiasi colore, che non fanno una politica di aiuto concreto alla natalità. Andiamo a Roma a protestare non solo davanti a questo governo, che non fa quasi nulla per dare fiducia e futuro ai giovani, ma simbolicamente anche a quelli precedenti, che sono stati altrettanto distratti. Andiamo a vedere le politiche coraggiose che alcuni Paesi europei hanno intrapreso. E magari diventiamo amici di qualche famiglia islamica e facciamoci raccontare di come arrivino alla fine del mese con salari inferiori ai nostri, ma con tre o quattro bambini. Un amico mi ha detto che idee del genere le sosteneva Mussolini: più figli alla patria per fare guerre imperiali. Io, molto più timidamente, dico che più europei in Occidente vuol dire maggiore capacità di accoglienza. Una società giovane può accogliere altre culture giovani. Una società sterile, vecchia ed egoista si chiuderà a riccio fino a sfoderare inquietanti e spaventosi razzismi. Il male assoluto non sta alle nostre spalle, come spesso diciamo con grande imprudenza: nessuno può dire di che cosa sia ancora capace l’uomo. Adesso poi, che dovremo privarci della compagnia di quel povero, mite ed ignudo Nazareno!
Alessandro Tessari
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