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mercoledì 14 ottobre 2009

Faccenda complicata la libertà

Carfagna vuole vietare il velo integrale nelle scuole. L'imam di Trento: «Legge inutile, nessuna lo indossa».
«Noi, musulmane libere anche senza minigonna».
Rassegna stampa - Liberazione, Laura Eduati, 14 ottobre 2009.

Burqa e niqab (il velo che lascia scoperti soltanto gli occhi, ndr) sono «simboli di sottomissione della donna» e dunque vanno vietati nelle scuole.
Con questa proposta Mara Carfagna sposa la linea della Lega che vuole proibire il burqa nei luoghi pubblici. Dalla sua parte si è schierata Mariastella Gelmini: «Le alunne devono essere identificabili». Tuttavia il ragionamento della ministra delle Pari Opportunità è maggiormente rivolto alla tutela delle donne musulmane nella convinzione che siano maggiormente vittime di soprusi da parte dei maschi di casa.
«Non esistono studentesse che portano il burqa o il niqab» osserva l'imam della moschea di Trento, Abulkheir Breigheche: «Temo che in realtà questo governo voglia arrivare a vietare anche il nijab (il foulard che copre soltanto i capelli, ndr) come in Francia, e questo condannerà molte donne alla marginalizzazione perché smetteranno di andare a scuola». E invece, sottolinea Breigheche, «dobbiamo favorire l'integrazione lasciando la libertà religiosa».
L'imam, affiliato all'Ucoii, smentisce che le donne musulmane patiscano maggiori abusi delle italiane: «Quando quel padre marocchino di Azzano Decimo uccise la figlia perché conviveva con un italiano, ebbene tutti hanno scritto che era colpa della religione. Io parlerei di arretratezza culturale, come è arretrata la mafia che commette omicidi anche famigliari. Sono bravi cattolici i mafiosi o gli italiani che uccidono le loro mogli?».
Il problema, conclude il religioso, risiede nella difficile formazione di un islam italiano, interlocutore del governo e sganciato dalle influenze delle ambasciate dei Paesi arabi. Ma la consulta islamica, istituita presso il Viminale, non è mai stata convocata da Maroni.
«Raramente un padre impone il velo alle figlie», esordisce la presidente dell'Associazione donne musulmane in Italia, Suher Kathkuda, che trova «assurdo» il numero verde limitato alle islamiche: «Quando una donna viene uccisa dal marito, che differenza fa se è cattolica, musulmana, buddista?».
Eppure Carfagna lo dice chiaramente: «Non c'è spazio per quelle religioni che negano parità di diritti, di libertà e di dignità». La ministra, insomma, è perfettamente d'accordo con Daniela Santanché e Souad Sbai - quest'ultima presidente delle donne marocchine in Italia e parlamentare Pdl -, entrambe impegnate in una lotta senza frontiere contro l'islam che impone alle donne matrimoni e rapporti sessuali forzati, velo in pubblico e ubbidienza cieca in casa. Lunedì l'associazione di Sbai, la Acmid-donna onlus, ha presentato i dati del numero verde anti-violenza dedicato alle musulmane e attivo dal 2007: quasi 5500 le chiamate, in prevalenza per sottrazione di documenti e minacce di rapimento o sequestro dei figli da parte del coniuge. Queste donne, denuncia Sbai, sono «fantasmi» senza diritti.
Kathkuda ragiona molto diversamente, e non vuole sentire parlare di musulmane magari immigrate di recente, con una scarsa conoscenza della lingua, costrette a seguire i rigidi dettami degli imam e dei mariti: «Tutti conosciamo i dati sulle violenze domestiche subìte dalle donne europee: sono allarmanti. Ripeto: non è una questione di religione ma di maschilismo ed è assurdo trattare diversamente le musulmane perché questo è razzismo». E poi, che significa integrazione? «Se vogliono che ci mettiamo in minigonna, allora si sbagliano di grosso. Peraltro non mi sembra che le donne italiane siano così emancipate: sono precarie, costrette a scegliere tra maternità e lavoro, in televisione appaiono nude e mercificate».
Sia l'imam di Trento che Kakhtuda citano il Corano, ricordando che la religione musulmana vieta l'obbligo religioso e dunque vieta quelle prescrizioni, come il velo, che non vengano accettate pienamente.
Impossibile, naturalmente, ridurre la comunità musulmana - un milione e mezzo di individui provenienti da Paesi molto diversi - ad un comune denominatore. E difatti ecco un giornalista di origine egiziana e residente a Padova, Mohammed Ahmed, che rovescia nuovamente la prospettiva ed è favorevole al divieto del velo integrale: «In Veneto non è raro incontrare donne che indossano il burqa o il niqab. Vietare questi capi di vestiario favorirà sicuramente l'integrazione». Perché? «Sono modi di sottomissione al marito e alla comunità, che svolge un ruolo spesso molto più restrittivo della religione. Prima di emigrare, alle donne musulmane viene spiegato che non devono imitare le occidentali, considerate volgari e poco di buono. In questo modo le musulmane cadono nella trappola di sentirsi persino orgogliose del velo quando invece patiscono sofferenze inaudite».
Ahmed da qualche giorno conduce il primo telegiornale arabo, ogni martedì e sabato su La9, una emittente privata che copre tutto il Settentrione, l'Emilia Romagna e le Marche. Esperto di immigrazione, il conduttore è convinto che «nessuna donna libera porterebbe davvero il velo». Nella sua esperienza professionale e di vita, dice, ha incontrato molte più musulmane sottomesse che musulmane libere. E anzi, «se mia figlia un giorno mi dicesse che vuole indossare il nijab , cercherei di capire chi l'ha influenzata».
Faccenda complicata, la libertà.
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