Rafforzati i vincoli e le limitazioni previste dal PGT.
La risposta di Brembio è il disincentivo al suo utilizzo.
Dopo aver espresso nell’articolo precedente cosa veniva posto in votazione in Consiglio comunale, relativamente agli adempimenti richiesti dal “piano casa regionale”, veniamo alle motivazioni e dichiarazioni che hanno portato ad un voto che – come si è detto – da solo “fa notizia”. Cominciamo con l’intervento del capogruppo di Rifondazione per Brembio Rosaria Russo, che riportiamo qui per intero.
«Ritengo importante diffondere l’informazione su una legge indecente approvata dal Consiglio regionale della Lombardia, contro la cui promulgazione Sinistra-Unaltralombardia ha condotto in aula una battaglia articolo per articolo, emendamento per emendamento. Un confronto puntiglioso, senza sconti, reso vano però dal contingentamento dei tempi e dall’impermeabilità a qualsiasi modifica del testo imposti dalla maggioranza Lega-PDL.
In Lombardia lo scempio di territorio e di bene pubblico è perpetrato purtroppo con scarsissima opposizione sociale e una disattenzione colpevole dell’opinione pubblica
Alla volontà espressa da Berlusconi di affrontare le difficoltà indotte dalla crisi economico-produttiva mondiale promuovendo in Italia un incremento dell’attività edificatoria minuta attraverso la sospensione in via eccezionale dei limiti posti dalle regole urbanistiche in tema di rapporto tra quantità edificatorie e dotazioni di attrezzature pubbliche, la Conferenza Unificata delle Regioni ha risposto approvando un’Intesa che, mentre propone di adeguarsi, rivendica almeno margini di autonomia decisionale nel come farlo.
La Giunta Formigoni è andata oltre l’adeguamento, allargando le maglie di sfondamento delle regole. Ha di conseguenza formulato il “piano casa” e ne ha imposto l’approvazione, con il proposito “di un rilancio dell’economia e di una risposta ai bisogni abitativi delle famiglie”
Eppure, la Regione Lombardia aveva già da tempo autonomamente ottemperato ad una pesante deregolamentazione a tempo indeterminato, sia con la cessione di minori aree pubbliche rispetto a quelle prescritte dagli strumenti urbanistici, sia con la possibilità di trasformare ad uso abitativo tanto i sottotetti preesistenti che quelli delle nuove edificazioni.
Evidentemente, con l’approvazione della nuova legge la strada della messa a profitto del suolo pubblico continua ad essere la via maestra per questa Giunta.
Il “piano casa” della Lombardia, che per un anno e mezzo consentirà di aumentare di un quinto le volumetrie degli edifici costruiti, è passato con un colpo di mano dell’assessore al Territorio, il leghista Davide Boni, che ha presentato in aula una ventina di emendamenti al testo uscito dalla Commissione. Mossa tattica, per far decadere gli oltre 200 emendamenti presentati dall’opposizione e riuscita solo in parte, perché un centinaio sono stati ri-presentati come sub-emendamenti alle modifiche introdotte dall’assessore.
Da oggi anche nei parchi si potrà demolire e ricostruire in deroga ai piani di coordinamento degli stessi. Anche nei centri storici, come pressoché ovunque nel territorio lombardo, si potrà ampliare e ricostruire (+20% o 30% di volumetria) sostituendo gli edifici esistenti che non si adattano al contesto storico e architettonico. Fuori dai centri storici si potrà incrementare la volumetria esistente perfino del 30%, se si useranno tecniche e materiali in grado diminuire di un terzo i consumi per il riscaldamento. Ma l’interessato che costruisce in più dovrà solo «dotarsi» della certificazione energetica, non sarà più obbligato a presentarla in Comune.
Ancora, in caso di «congruo equipaggiamento arboreo» pari almeno a un quarto del lotto interessato, L’incremento di volumetria ammesso sarà del 35%. Si potranno convertire in residenza i capannoni industriali e artigianali - non commerciali e terziari - per una quota pari alle volumetrie definite dagli indici residenziali del luogo.
Infine, i quartieri di edilizia pubblica. Qui l’incremento massimo arriva al 40%. Potrà riguardare un complesso di edifici e non uno solo e potrà concretizzarsi in un palazzo nuovo di zecca. La volumetria potrà essere ceduta a operatori privati e la durata di applicazione della legge sarà di 24 mesi.
Ma difficilmente si finirà lì: l’assessore Boni, infatti, già anticipa la possibilità di una nuova legge dicendo che «potremmo essere interessati a far diventare fissa la norma sui centri storici perché, purtroppo, ci troviamo davanti a delle situazioni legate agli anni Cinquanta e Sessanta che non hanno nulla a che vedere con l’uniformità dei centri storici».
Questa legge viene propagandata come la risposta lombarda alla crisi e alla domanda abitativa. Ma il suo contenuto nulla ha a che vedere con questi obiettivi.
Si tratta infatti di un provvedimento che non fa i conti coi problemi strutturali del settore e che non si pone il problema dell’utilizzo del patrimonio immobiliare già esistente ed inutilizzato, a partire dall’enorme numero di case sfitte.
Per di più, si tratta di una legge che non riguarda la difficile situazione di quanti vivono sulla loro pelle la crisi: quelli che fanno già fatica ad arrivare a fine mese, pagare l’affitto o il mutuo e che, molto probabilmente, non sono nelle condizioni di accedere ai benefici di questa legge.
Essere proprietari di immobile è la prima condizione, avere disponibilità economiche sufficienti è la seconda. Ma proprio in questa crisi inedita occorre ricordare che la bolla finanziaria è nata dall’eccesso di consumi individuali sostenuto dall’indebitamento a cui le banche hanno spinto i cittadini. Ebbene, è quanto spinge a fare la legge in discussione, frutto di un accordo instabile Lega-PDL, che distrugge il concetto di casa come bene sociale e ne fa l’ennesima fonte di rendita, in particolare per quegli interessi immobiliari che si getteranno alla caccia dell’affare esteso a tutte le tipologie costruttive possibili ed immaginabili.
Fino all’edilizia residenziale pubblica, contemplata nel provvedimento forse per ingraziarsi il favore delle cooperative di ogni colore.
Dietro la risposta alla crisi e al fabbisogno abitativo si nasconde (malamente) l’ennesimo favore alla rendita e ai costruttori e l’attacco al territorio e all’ambiente.
Un attacco che non ha precedenti e che cancella, anche se per “soli” 24 mesi, le prerogative di comuni, province, parchi e comunità montane e che fa tabula rasa di tutti gli strumenti urbanistici.
Siamo abituati all’uso delle leggi in Lombardia per andare fuori legge…
Come se l’aumento del 20% o del 30%, a seconda dei casi, non avvenisse sottraendo altrettanto volume agli spazi comuni, caricando gli acquedotti, le fogne, i servizi comunali oltre misura, rompendo l’armonia di agglomerati frutto di una convivenza e di una storia comune. E’ il trionfo del “fai da te”, della prevalenza del privato sul pubblico, dell’uniformità dell’interesse economico usurante, che distrugge le diversità delle comunità.
I Comuni sono messi fuori gioco: verrebbe da ridere, se non ci fosse invece da piangere, di fronte al termine perentorio del 15 Ottobre posto agli enti locali per individuare e comunicare le zone nelle quali la legge non andrà applicata, per la presenza di eccezionali vincoli storici, ambientali, culturali. Senza contare sul danno erariale che deriverà con la riduzione del 30% degli oneri di urbanizzazione con cui verranno premiati i costruttori.
Si tratta di incrementi volumetrici che si concentreranno in particolare nelle zone urbane più fittamente utilizzate, soprattutto in ambito metropolitano: basti pensare alle cosiddette “coree” costituitesi nelle grandi periferie urbane del triangolo industriale negli anni Cinquanta inglobate nella successiva e più massiccia espansione metropolitana.
Si tratta, nel complesso, di una tendenza - precocemente praticata dalla Lombardia, ma poi generalizzatasi a livello di legislazioni nazionali e regionali - che alimenta una sostanziale sfiducia negli esiti prodotti dall’applicazione delle norme sui rapporti tra densità edificatorie e spazi pubblici.
La riduzione dello spazio pubblico per abitante (realmente “inedificato”, cioè non pertinenziale ad un edificio), si risolve in un’accresciuta pressione antropica, che peggiora la qualità della vita, anche se aumenta la rendita monetaria dei proprietari.
In conclusione, una vera cuccagna per chi vuole costruire in barba ai piani regolatori: una vera disgrazia per quanti il diritto alla casa non l’hanno visto mai!».
Il sindaco Sozzi ha commentato alcuni punti dell’intervento della consigliera Russo, sottolineando come la legge sia sbagliata dal punto di vista metodologico e come in Conferenza Stato-Regioni si fosse riusciti a mettere un freno al governo centralista qual è quello di Berlusconi, nonostante – aggiungo io – i proclami federalisti della Lega. Ha ricordato, poi, come anche forze politiche, oltre a quella citata dal capogruppo di Rifondazione, abbiano lavorato per limitarne gli effetti negativi. Vi è stata insomma una sinergia delle opposizioni nel contrastare la giunta Formigoni. Ha ricordato anche la scelta lungimirante effettuata nella stesura del PGT riguardante le limitazioni che con il provvedimento che il Consiglio andava a votare sarebbero state ulteriormente estese. E ha spiegato i motivi dell’introduzione di quell’1% attraverso un emendamento (il testo agli atti non prevedeva alcuna riduzione degli oneri e del contributo del costo di produzione), quale atto cautelativo perché si voleva essere maggiormente sicuri così facendo che non vi fossero nelle pieghe della normativa possibilità di stravolgimento di una azione comunale che dichiaratamente non vuole incentivare interventi selvaggi sul patrimonio edilizio. Concludeva invitando le minoranze a votare a favore della delibera.
In sede di dichiarazioni di voto il capogruppo di maggioranza De Lazzari esprimeva sinteticamente la motivazione del voto favorevole rifacendosi alla piena condivisione di quanto espresso dal sindaco, mentre la consigliera Rosaria Russo, favorevole alla prima formulazione del testo – che non prevedeva la riduzione seppur minima dell’1% - dichiarava che pur avendo approvato alcuni degli emendamenti proposti dalla maggioranza il suo voto finale sarebbe stato a malincuore contrario perché a suo parere quel simbolico 1% era comunque un compromesso verso una legge regionale che la vedeva assolutamente contraria e che, dunque, riteneva di non sottoscrivere. Ribadiva, perché fosse ben inteso, che la sua, comunque, era una opposizione alla legge 13, e non alla delibera proposta dalla giunta comunale.
La minoranza Brembio che Cambia, per voce del capogruppo Giampietro Tonani sottolineava che secondo il centrodestra la legge 13 “realizza il duplice obiettivo della limitazione del consumo del suolo e della riqualificazione urbana, quindi … costituisce un importante occasione per migliorare la qualità architettonica del nostro paese”. Secondo la minoranza di centrodestra con la sua attuazione “l'Amministrazione locale in primis e poi successivamente i professionisti e gli operatori del settore, dovranno, dunque impegnarsi a realizzare interventi di elevato livello qualitativo mediante una progettazione dettagliata a livello edilizio e paesaggistico”. E aggiungeva: “Partendo dalle origini, i principi ispiratori sono la semplificazione, la sussidiarietà, il rispetto del suolo e, per ultimo, ma non meno importante, si parla di sicurezza degli edifici. Se ben notate, il comune denominatore di questi principi è il rispetto per l'ambiente”, che per il consigliere Tonani “dovrebbe essere il punto focale per concepire il futuro del nostro territorio”. Per Tonani, frase importante, questa legge “ci fa ben sperare in una leggera ripresa della nostra economia locale, attraverso il rilancio dell'edilizia”. La conclusione: “come ben notate, la nostra non è sempre un'opposizione a prescindere, un'opposizione gratuita senza fondamento, ma quando si parla di migliorare la qualità della vita di tutti i nostri cittadini non possiamo far altro che esprimere il nostro voto favorevole".
Insomma a conclusione del dibattimento un voto che, politicamente parlando, doveva presumibilmente essere 9 favorevoli e 3 contrari si è ribaltato in 11 favorevoli ed 1 contrario (Rosaria Russo per la motivazione detta).
Il commento non può che essere questo: il voto rappresenta un successo del sindaco che è riuscito a portare su posizioni del Pd in Regione la minoranza di centrodestra. Se non vi fossero stati quei dubbi che hanno portato - come è stato detto - dopo aver sentito autorevoli pareri, scegliendo – parole del sindaco – il male minore, all’introduzione di quell’1% simbolico, la sinistra si sarebbe unita al centrosinistra nel sostenere una delibera pensata per “limitare gli effetti” della legge 13.
Ogni provvedimento che punta alla salvaguardia del territorio e della struttura urbanistica di vecchia formazione del paese ed i suoi beni architettonici, troverà sempre anche il nostro sostegno.
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