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lunedì 17 agosto 2009

I solidi scogli dell'idiozia

Riprendiamo da l'Unità.it di oggi questo articolo di Luca Del Fra, perché è un buon esempio di come si possa girare attorno ad una questione senza dire o esprimere i motivi veri della propria contrarietà. La si butta in musica usando anche argomentazioni che dimenticano ciò che il coro ha significato nella storia risorgimentale. L'opera infatti è stata spesso letta come l'opera più risorgimentale di Verdi, poiché gli spettatori italiani dell'epoca potevano riconoscere la loro condizione politica in quella degli ebrei soggetti al dominio babilonese. Questo tipo di lettura è incentrata soprattutto sul famosissimo coro intonato appunto dal popolo ebreo.
Un lamento sottovoce alle Olimpiadi?
Rassegna stampa.

Recentemente rilanciato dalla Lega, l'ultra cinquantennale tentativo di far assurgere “Va pensiero” di Giuseppe Verdi a inno nazionale è sempre naufragato su solidi scogli. Si tratta di motivazioni non prive di fondamento, che magari possono sfuggire perché di natura anche musicale.
Si tratta infatti di un coro, definito da Gioachino Rossini «una grande aria cantata da soprani, contralti, tenori, bassi», estratto dalla terza opera scritta da Verdi, “Nabucco” o più esattamente “Nabucodonosor”. Il libretto di Temistocle Solera narra il dramma degli ebrei ridotti in schiavitù nell'«Assiria» di Nabucco. “Va, Pensiero” è posizionato alla fine della terza parte dell'opera: in scena ci sono gli ebrei che saputa la loro condanna allo sterminio da parte degli assiri, intonano una sommessa e disperata preghiera a Dio.
Già il fatto di adottare un brano dove protagonisti non sono gli italiani ma un altro popolo sarebbe un unicum negli inni nazionali, senza considerare che il Dio a cui si rivolgono gli ebrei non è quello cattolico e la cosa dovrebbe suscitare la sensibilità di molti nel nostro paese.
In secondo luogo, non bisogna dimenticare che si tratta di una preghiera in forma di lamento: le ultime parole di gente sconfitta e condannata a morte, dunque non certo auspice di quelle glorie nazionali che, con più o meno retorica e talvolta tronfia, ogni inno nazionale contiene.
Fatte queste premesse, si può arrivare alle ragioni più squisitamente musicali: Verdi nel mettere in musica questa preghiera scelse giustamente un tono sommesso. Circa il 70 % di questo coro è sottovoce, il resto ha vertiginosi scarti dinamica tra piano e mezzo forte (“O mia patria si bella e perduta”), l'unica parte da intonare veramente forte corrisponde alle parole “L'arpa d'or dei fatidici vati”, poi un brusco ripiegamento in piano. E così via. Ora si può solo immaginare di eseguire un inno simile in uno stadio pieno di tifosi ululanti? Oppure durante una sfilata con mezzi motorizzati? Il rumore lo sommergerebbe.
Certo si potrebbe studiare un nuovo arrangiamento più pompato ma, come è successo per l'ultimo movimento della Sinfonia n. 9 di Ludwig van Beethoven per l'inno europeo, rovinerebbe definitivamente questo pezzo straordinario che deve molto del suo fascino al tono sommesso, come dimostrano ancora le registrazioni effettuate da Giuseppe Sinopoli, che queste dinamiche esaltava fino a esasperarle. Qualcuno ha anche osservato che non sarebbe dignitoso prendere un brano d'opera come inno nazionale, ma questa motivazione non regge . Viste le ultime polemiche sull'inno nazionale, il nostro resta un paese da operetta, e un brano d'opera sarebbe persino un progresso.
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