Ieri Il Giornale e a ruota Libero (indipendentemente o velinamente insieme poco importa) hanno individuato il problema vitale per il Paese: il canone Rai.
Il motivo della rivolta - neppure originale, va detto: è da una vita che i consumatori chiedono l'abolizione del canone, ma senza masochismi - è alla fine il solito Santoro che sta evidentemente nelle palle del duo "voce del padrone" perché riversa sull'amato datore di lavoro ogni sorta di sconce verità, verità comunque. Si cavalca insomma la tigre di un idem sentire diffuso sul canone Rai per scaldare gli animi contro gli oppositori, contro chi mostra che il re è nudo, che il mago di Oz è un imbroglione, che il grande fratello nero-azzurro tiene un paese soggiogato con cerone e trucco televisivo.
«Basta. Ho deciso di non pagare più il canone Rai. Mi ribello alla tassa inflitta a chiunque possegga un apparecchio televisivo. C'è chi va in piazza per difendere la libertà di stampa, che nessuno minaccia (semmai qualcuno ne abusa), e io sto a casa mia fermamente intenzionato a difendere la mia - la nostra - libertà di non finanziare le bischerate di Santoro e Floris.
«Per quale arcano motivo devo passare del denaro agli imbonitori della sinistra che insultano coloro i quali non la pensano come loro, li diffamano e li descrivono quali nemici della democrazia? Già l'idea in sé di un abbonamento imposto ai telespettatori è assurda in un mercato basato sulla concorrenza; se poi quell'abbonamento non è legato a una scelta - come è il caso di Premium o di Sky - bemsì alla sola proprietà di un televisore, non ci sto.
«Non ci sto perché ci sono programmi che non voglio vedere né giustificarne la messa in onda contribuendo a finanziarli.
«Con il canone Rai acquisti in blocco tutto un palinsesto e non ti è permesso scartare le trasmissioni odiose, riducendo il prezzo, e opzionare quelle di tuo gradimento. Ciò non va bene, è disonesto. Non compro un prodotto a scatola chiusa. E se mi obbligano a farlo, protesto.
«Se la proposta è: o l'intero pacchetto o nulla, propendo per il nulla. Rinuncio anche a ciò che mi piace: le partite di calcio, Porta a Porta, i documentari storici. Pussa via, respingo il servizio pubblico perché pubblico non è. Desidero non essere complice di Santoro, di Fazio, Floris e Bignardi - per citarne alcuni - e reclamo il diritto a non retribuire il lavoro di chi offende e mi dà sui nervi. Naturalmente (...)»
Ecco fermiamoci qui, come qui si ferma l'articolo di Vittorio Feltri in prima pagina su Il Giornale.
Più sintetico il "concorrente" Belpietro che in prima pagina inserisce solo questo frammento dell'articolo di Franco Bechis sul tema: «Addio Rai, non ti guardo più. C'è un modo solo per staccare la spina ai Michele Santoro, ai Marco Travaglio, ai Fabio Fazio, ai processi nelle piazze virtuali, ai maldipancia e alle offese patite dai teleschermi della tv di Stato: non pagare più il canone (...)»
Ma è Feltri che fa addirittura la "figata" di mettere in prima pagina un fax-simile di modulo per disdire il canone, svelando però così l'inganno mediatico, che la sua cioè è pura sola propaganda.
Ma se il diavolo fa le pentole, il proverbio dice che non sa fare i coperchi e il troppo finisce con lo stroppiare. Dunque, dove sta l'offesa all'intelligenza del lettore? La svelano queste poche righe del modullo:
Ma proprio leggendo gli articoli citati sorge il dubbio che si suggerisca una furbata all'italiana della serie fatta la legge trovato l'inganno. Una rischiosa operazione aggiramento. Ed è questo ciò che più sconcerta. Chiedere di abolire il canone si può, raccogliere firme si può, fare i furbetti del televisorino, no, direi proprio di no.
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