Rassegna stampa - Il Cittadino, Alberto Belloni, 10 dicembre 2009.
I pesci “lodigiani” stanno bene al nord del territorio, dove le acque sono più pure; ma soffrono in altre aree della provincia, dall’agonizzante Lambro al Po, dove il maggiore inquinamento nei fiumi e la spietata concorrenza delle specie “forestiere” sta decimando alcune razze, fino a farle scomparire. È questa la fotografia sul benessere dei corsi d’acqua locali e della fauna che li popola scattata dalla nuova carta ittica provinciale, lo strumento per una migliore gestione degli ambienti acquatici presentato ieri alla sala dei comuni dall’ittiologo Simone Rossi. Frutto di un articolato lavoro d’indagine (campionamenti sui pesci attraverso 160 stazioni sparse lungo tutto il sistema idrico, prelievi biologici con 30 stazioni campionamento, 84 schede su fiumi, lanche e rogge e 3 anni di lavoro sul campo), la carta fornisce un quadro aggiornato al 2007 su ogni fiume, sorgiva, roggia del Lodigiano. Di qui, la possibilità di “giudicare” tanto la qualità dell’acqua quanto sulle condizioni delle 51 specie (29 delle quali autoctone) esaminate; per una “pagella” che, fatta eccezione per il lodevole stato dell’Adda settentrionale, scivola attorno alla sufficienza scarsa in altre zone, per precipitare a ridosso del Po e del pur migliorato Lambro. Quest’ultimo, per esempio, si fregia suo malgrado della situazione di maggior degrado per la salute delle acque (ancora fortemente inquinate) e per il più basso numero di specie ittiche censite. Paradossalmente, però, il quadro clinico del più “occidentale” dei fiumi che attraversano la provincia è in miglioramento; pressoché “morto” fino a una decina d’anni fa, oggi il Lambro si è leggermente ripopolato, salutando con speranza anche la ricomparsa di un pesce autoctono come lo Spinarello. Dove a dispetto di un inquinamento “medio” la situazione è peggiorata è lungo il Po. Nel “Grande fiume”, infatti, le specie indigene sono state quasi completamente soppiantate da pesci esotici o alloctoni quali siluri e barbi d’oltralpe; e se è vero che qualche pesce “migratore”, come lo storione cobice e la cheppia, riesce ancora a fare capolino, la diga di isola Serafini tra Lodi, Piacenza e Cremona ha fatto estinguere alcune specie, dalla lampreda di mare ad alcune tipologie di storione. Scadente a ridosso di alcuni colatori (Sillaro, Lisone e Mortizza) e nelle reti artificiali, la situazione volge fortunatamente al meglio nell’asta nord est del territorio. Sia nell’Adda (scendendo fino a Boffalora) che nelle sorgive, il basso inquinamento delle acque permette a cavedani, arborelle e altre specie tipiche del Lodigiano una maggioranza del 90 per cento rispetto ai pesci alloctoni. Il livello si abbassa però scendendo da Montanaso verso Maleo, per peggiorare notevolmente al confine cremonese: complice il maggiore impatto degli scarichi dei depuratori e la penuria di fasce di filtraggio per i liquami e concimi agricoli, i più robusti e aggressivi pesci di origine esotica stanno prendendo il posto della fauna ittica locale. E il futuro? «Vanno tutelate e conservate alcune specie - è l’appello dell’ittiologo Rossi -. Pesci come le trote marmorate, il temolo e il luccio devono essere aiutate a diffondersi nei nostri corsi d’acqua».
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