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domenica 1 novembre 2009

Non voltare la testa dall'altra parte

Editoriale.
Coloriamo i muri portanti della lotta contro la mafia.
Rassegna stampa - Avvenire, Luigi Ciotti, 1 novembre 2009.

Ho conosciuto Mimmo Lucano molti anni fa.
Faceva il maestro ed era di Riace, bellissimo paese di pietra chiara nel cuore della Locride, rimasto orfano di tanti cittadini andati altrove in cerca di fortuna. Qualche tempo prima, di fronte a un gruppo di profughi curdi approdati sulle coste del suo paese, Mimmo si era sentito chiamato in causa, corresponsabile. E di fronte alla loro sofferenza non aveva voltato la testa dall’altra parte. Con alcuni amici, il nucleo dell’associazione «Città futura Giuseppe Puglisi», se n’era occupato, li aveva accolti, aveva trovato loro una casa. E di case vuote, a Riace, ce n’erano tante: tutte quelle abbandonate dagli emigranti. È a quel punto che è scattata la molla, l’idea di trasformare l’emergenza in opportunità: perché non restaurare quelle vecchie abitazioni rimaste vuote, consegnarle ai nuovi migranti e così ripopolare il paese, restituendogli vita e identità? Con la fatica, con l’impegno quotidiano, l’intuizione è diventata una realtà concreta. Da quell’estate del 2000, quando ci siamo trovati in piazza a ragionare insieme a tanti giovani su come ognuno di noi può contribuire in prima persona al cambiamento, sono successe molte cose. Con le sue case risistemate, le sue botteghe artigiane animate da curdi, eritrei, somali, Riace è diventata un modello di accoglienza dei rifugiati e di sviluppo del territorio. Un modello che funziona e proprio per questo infastidisce. Nel tempo non sono infatti mancati gli avvertimenti, le intimidazioni anche pesanti contro un’esperienza forte, che nel suo crescere testimonia non solo che cambiare si può, ma che l’impegno di tutti sa produrre libertà e futuro. Come tanti altri nel nostro Paese, Mimmo non ha avuto paura di sporcarsi le mani, non si è fermato di fronte alle difficoltà. Sull’onda di quest’esperienza è diventato sindaco.
Due volte. Da sindaco ha intitolato strade a Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giuseppe Impastato. Per non dimenticare. E non ha perso l’abitudine di provare ad abbattere i muri che separano le persone e le culture e impediscono a un territorio di crescere.
Ma a ben vedere non ci sono solo i muri che separano, ci sono anche i muri portanti, le facciate che reggono le case. Come la memoria, che è uno dei muri portanti dell’impegno contro l’illegalità, le violenze e gli abusi delle mafie.
Impegno per un mondo dove la dignità e la libertà di ogni persona sia tutelata, dove i diritti siano affermati, dove chi decide di lasciare il proprio paese possa farlo liberamente, senza esservi costretto dalla fame, dalle guerre, dalle persecuzioni razziali. Oggi di tutto questo Riace è testimonianza incarnata, così come lo sono i murales dedicati a Rocco Gatto, Giuseppe Valarioti, Totò Speranza, Gianluca Congiusta, Franco Fortugno, tutti morti ammazzati da cosche e ’ndrine. Quei murales dipinti sulle facciate del paese da un gruppo di artisti arrivati da ogni parte d’Italia fanno memoria per ognuno di noi e nel ricordo di chi non ha abbassato la testa ci aiutano a tenere alta la nostra. E ci trasmettono, insieme alla bellezza dell’arte, il desiderio di una vita bella, come quella di questi giovani artisti e di tanti ragazzi che, come Mimmo, non girano lo sguardo altrove. Una vita bella perché ricca di impegno e passione, viva perché vuole essere libera non a scapito ma per e insieme agli altri. È, questo, un desiderio di bellezza che sentiamo forte, che orienta le nostre scelte e ci dà sostegno nei momenti difficili. E questa è anche la bellezza di Riace, i cui patroni, Cosimo e Damiano, erano medici, uomini di cura. La cura delle persone, la cura riparatrice contro le parole di morte, i silenzi e le complicità, contro quelle profonde malattie dell’anima che si chiamano indifferenza, cinismo, rassegnazione. Cura contro quelle paure che insieme, nella memoria che si fa impegno, possiamo trasformare in speranza, in parola di vita.
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