Rassegna stampa - Avvenire, P.L.F., 1 novembre 2009.
Il Pd «socialdemocratico» di Pierluigi Bersani? «Non ha nessuna possibilità di parlare ai contemporanei» , è il biglietto di addio di Francesco Rutelli che il neosegretario non gradisce, nonostante la manifestazione di circostanza del suo «dispiacere» per l’uscita di Francesco. «Non facciamo cose antiche – ribatte –: stiamo cercando di fare il progetto nuovo, con la spinta di una grandissima partecipazione. E mi spiace se non se ne può discutere con Rutelli». Insomma, sarebbe in arrivo un «bambino nuovo», come avrebbero indicato tre milioni di elettori.
Anche se il neosegretario non sembra preoccuparsi più di tanto, l’uscita dell’ex leader della Margherita qualche problema lo provoca nel Pd, pure se Rutelli non sembra puntare al momento alla creazione di un suo gruppo parlamentare. Le sue dichiarazioni? «Caricature offensive» , commenta indispettita Barbara Pollastrini, dei votanti delle primarie. Le ragioni di Rutelli sono «svilite» dai suoi comportamenti, sostiene Franco Monaco, rinfacciandogli «un girovagare» politico dai tempi dell’Asinello in poi. Ma la 'testa pensante' del prodismo, Arturo Parisi, sembra dissociarsi nettamente da alcuni suoi compagni di strada. Nell’uscita del presidente del Copasir dal Pd, argomenta il Professore, «c’è una nettezza e una nitidezza che va riconosciuta e apprezzata». Non chiara comunque, a suo dire, è invece «la prospettiva», perché con una iniziativa centrista non si potrebbe riparare al danno fatto da tanti al partito, per cui si dovrebbe puntare ad uno «nuovo». Giorgio Merlo, comunque, chiede che il nuovo corso dei Democratici dimostri «realmente, e non solo nelle mozioni congressuali, di non essere solo un 'partito di sinistra'». Prudente la reazione di molti politici dell’area rutelliana. «Molte ragioni che espone sono condivisibili», osserva Enzo Carra, non convinto «però», delle conclusioni alle quali arriva. Carra, infatti, gli obietta che contro di lui l’ex leader della Margherita «volle imboccare frettolosamente la strada del Pd». «Nessuna ombra e nessun dubbio sulla sua intenzione», osserva Paola Binetti, costatando che la rottura nasce dalla critica di una «involuzione del partito in senso socialdemocratico, da uno spostamento evidente a sinistra». Quindi una condivisione della sua analisi, ma per la deputata teodem attualmente si deve porre sotto esame sia il modo in cui Bersani organizzerà il partito, sia il nuovo progetto politico di Rutelli. Massima attenzione, soprattutto, a «quale spazio» i due riserveranno «ai valori cattolici» e come vorranno affrontare i temi etici. Nelle prime mosse dell’ex leader dl, registra la Binetti, «particolare attenzione alla società civile», al coinvolgimendo di mondi diversi che non si riconoscono né nel centrodestra né nel Pd, ma «sui temi etici è stato quantomeno cauto».
Il destino di D’Alema nelle mani degli eurosocialisti. Il caso.
Rassegna stampa - Avvenire, Arturo Celletti, 1 novembre 2009.
«Non è un problema tra Berlusconi e D’Alema, perchè è una partita europea molto difficile... Ci sono molti candidati...». È proprio Massimo D’Alema a raccontare la verità sulla corsa che potrebbe trasformarlo in ministro degli esteri dell’Unione europea. «Leggendo i giornali italiani sembra che dobbiamo decidere qui in Italia. No, ci sono 27 Paesi membri... Adesso vedremo, saranno giornate complicate e meno ne parliamo meglio è perché è una corsa con molti candidati e anche autorevoli». È una partita complessa quella che si giocherà la prossima settimana in casa eurosocialista e dopo D’Alema è Pierluigi Bersani a mostrare assoluta prudenza.
«Intanto bisognerà vedere come si muoveranno le cose a livello europeo, perché la cosa non è certo conclusa», ammette il leader del Pd. Ma se invece avessero ragione quelli che si dicono certi che i socialisti europei punteranno su D’Alema come ministro degli Esteri Ue?
Bersani ora non tentenna: «Se fosse così sarebbe strabiliante se il governo italiano non si mettesse d’accordo, perchè naturalmente per l’Italia sarebbe una cosa di grandissimo prestigio». Non esiste questa possibilità: se i socialisti europei diranno sì a D’Alema il governo italiano sosterrà senza «nessuna esitazione» l’ex premier diessino. È stato Gianni Letta a sentire venerdì più volte D’Alema e ad anticipargli la linea di Palazzo Chigi. Ma questo non è «inciucio»: l’appoggio del governo, anche se di colore politico diverso, è un «fatto normale» in tutti i paesi dell’Unione. D’Alema ricorda che il «presidente della Commissione europea, che è un conservatore, è nominato da un governo socialista. E non appena si è profilata la possibilità che il ministro degli Esteri sia socialista, il presidente della Repubblica francese, che è un conservatore, si è dichiarato disponibile a nominare qualsiasi socialista francese...».
E chiude il ragionamento: «Non c’è alcun Paese in cui esisterebbe questo problema: solo da noi. Però io do atto al governo di essersi comportato esattamente come ci si comporta normalmente nei Paesi europei. E questo è un fatto molto positivo». L’obiettivo inconfessabile di D’Alema è uno solo: chiudere prima della fine della prossima settimana. Da lunedì la trattativa vera entra nel vivo. Saranno giorni di 'faccia a faccia', di vertici segreti, di mediazioni. E sarà il cancelliere austriaco socialdemocratico Werner Faymann (coadiuvato dal premier spagnolo Zapatero) a 'esplorare' i socialisti europei.
Insomma la corsa è ancora lunga e oggi c’è una sola certezza: la carica di presidente permanente della Ue andrà a un esponente dei popolari e quella di ministro degli Esteri a un socialista. D’Alema? Mario Mauro, il capo della delegazione del Pdl all’europarlamento, è prudente: «In questo momento» il candidato per il posto che spetta all’Italia all’interno della Commissione europea «si chiama Antonio Tajani».
Ironico, invece, il commento di Umberto Bossi: «Visto che il comunismo sta rinascendo un po’ nei Paesi dell’Est, abbiamo l’uomo giusto». Insomma, nei prossimi giorni verrà messo in gioco anche il futuro del vicepresidente della Commissione Tajani: il futuro ministro degli Esteri Ue sarà infatti anche vicepresidente della Commissione e occuperà l’unica casella a disposizione della stato membro di provenienza nell’ambito dell’esecutivo comunitario.
Resta un’ultima questione. Le consultazioni tra i gruppi politici e i governi dei 27 riguardano anche la scelta del futuro presidente Ue. E c’è chi già parla di corsa a due tra l’ex Cancelliere austriaco Wolfgang Schuessel e l’attuale premier olandese Jan Peter Balkenende.
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