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domenica 1 novembre 2009

Il Pd tra abbandoni e promozioni

Bersani «dispiaciuto», Pd diviso.
Rassegna stampa - Avvenire, P.L.F., 1 novembre 2009.

Il Pd «socialdemocratico» di Pierluigi Bersani? «Non ha nes­suna possibilità di parlare ai contemporanei» , è il biglietto di addio di Francesco Rutelli che il neosegretario non gradisce, nono­stante la manifestazione di circo­stanza del suo «dispiacere» per l’u­scita di Francesco. «Non facciamo cose antiche – ribatte –: stiamo cer­cando di fare il progetto nuovo, con la spinta di una grandissima partecipazione. E mi spiace se non se ne può discutere con Rutelli». Insomma, sarebbe in arrivo un «bambino nuovo», come avrebbe­ro indicato tre milioni di elettori.
Anche se il neosegretario non sem­bra preoccuparsi più di tanto, l’u­scita dell’ex leader della Marghe­rita qualche problema lo provoca nel Pd, pure se Rutelli non sembra puntare al momento alla creazio­ne di un suo gruppo parlamenta­re. Le sue dichiarazioni? «Carica­ture offensive» , commenta indi­spettita Barbara Pollastrini, dei vo­tanti delle primarie. Le ragioni di Rutelli sono «svilite» dai suoi comportamenti, sostiene Franco Mo­naco, rinfacciandogli «un girovagare» politico dai tempi dell’Asi­nello in poi. Ma la 'testa pensante' del prodi­smo, Arturo Parisi, sembra disso­ciarsi nettamente da alcuni suoi compagni di strada. Nell’uscita del presidente del Copasir dal Pd, ar­gomenta il Professore, «c’è una nettezza e una nitidezza che va ri­conosciuta e apprezzata». Non chiara comunque, a suo dire, è in­vece «la prospettiva», perché con una iniziativa centrista non si po­trebbe riparare al danno fatto da tanti al partito, per cui si dovrebbe puntare ad uno «nuovo». Giorgio Merlo, comunque, chiede che il nuovo corso dei Democratici dimostri «realmente, e non solo nel­le mozioni congressuali, di non es­sere solo un 'partito di sinistra'». Prudente la reazione di molti po­litici dell’area rutelliana. «Molte ra­gioni che espone sono condivisi­bili», osserva Enzo Carra, non con­vinto «però», delle conclusioni al­le quali arriva. Carra, infatti, gli o­bietta che contro di lui l’ex leader della Margherita «volle imboccare frettolosamente la strada del Pd». «Nessuna ombra e nessun dubbio sulla sua intenzione», osserva Pao­la Binetti, costatando che la rottu­ra nasce dalla critica di una «invo­luzione del partito in senso social­democratico, da uno spostamen­to evidente a sinistra». Quindi una condivisione della sua analisi, ma per la deputata teodem attual­mente si deve porre sotto esame sia il modo in cui Bersani organiz­zerà il partito, sia il nuovo proget­to politico di Rutelli. Massima at­tenzione, soprattutto, a «quale spa­zio» i due riserveranno «ai valori cattolici» e come vorranno affron­tare i temi etici. Nelle prime mos­se dell’ex leader dl, registra la Bi­netti, «particolare attenzione alla società civile», al coinvolgimendo di mondi diversi che non si rico­noscono né nel centrodestra né nel Pd, ma «sui temi etici è stato quan­tomeno cauto».

Il destino di D’Alema nelle mani degli eurosocialisti. Il caso.
Rassegna stampa - Avvenire, Arturo Celletti, 1 novembre 2009.

«Non è un problema tra Berlusconi e D’Alema, perchè è una partita europea molto difficile... Ci sono molti candidati...». È proprio Massimo D’Alema a raccontare la verità sulla corsa che potrebbe trasformarlo in ministro degli esteri dell’Unione europea. «Leggendo i giornali italiani sembra che dobbiamo decidere qui in Italia. No, ci sono 27 Paesi membri... Adesso vedremo, saranno giornate complicate e meno ne parliamo meglio è perché è una corsa con molti candidati e anche autorevoli». È una partita complessa quella che si giocherà la prossima settimana in casa eurosocialista e dopo D’Alema è Pierluigi Bersani a mostrare assoluta prudenza.
«Intanto bisognerà vedere come si muoveranno le cose a livello europeo, perché la cosa non è certo conclusa», ammette il leader del Pd. Ma se invece avessero ragione quelli che si dicono certi che i socialisti europei punteranno su D’Alema come ministro degli Esteri Ue?
Bersani ora non tentenna: «Se fosse così sarebbe strabiliante se il governo italiano non si mettesse d’accordo, perchè naturalmente per l’Italia sarebbe una cosa di grandissimo prestigio». Non esiste questa possibilità: se i socialisti europei diranno sì a D’Alema il governo italiano sosterrà senza «nessuna esitazione» l’ex premier diessino. È stato Gianni Letta a sentire venerdì più volte D’Alema e ad anticipargli la linea di Palazzo Chigi. Ma questo non è «inciucio»: l’appoggio del governo, anche se di colore politico diverso, è un «fatto normale» in tutti i paesi dell’Unione. D’Alema ricorda che il «presidente della Commissione europea, che è un conservatore, è nominato da un governo socialista. E non appena si è profilata la possibilità che il ministro degli Esteri sia socialista, il presidente della Repubblica francese, che è un conservatore, si è dichiarato disponibile a nominare qualsiasi socialista francese...».
E chiude il ragionamento: «Non c’è alcun Paese in cui esisterebbe questo problema: solo da noi. Però io do atto al governo di essersi comportato esattamente come ci si comporta normalmente nei Paesi europei. E questo è un fatto molto positivo». L’obiettivo inconfessabile di D’Alema è uno solo: chiudere prima della fine della prossima settimana. Da lunedì la trattativa vera entra nel vivo. Saranno giorni di 'faccia a faccia', di vertici segreti, di mediazioni. E sarà il cancelliere austriaco socialdemocratico Werner Faymann (coadiuvato dal premier spagnolo Zapatero) a 'esplorare' i socialisti europei.
Insomma la corsa è ancora lunga e oggi c’è una sola certezza: la carica di presidente permanente della Ue andrà a un esponente dei popolari e quella di ministro degli Esteri a un socialista. D’Alema? Mario Mauro, il capo della delegazione del Pdl all’europarlamento, è prudente: «In questo momento» il candidato per il posto che spetta all’Italia all’interno della Commissione europea «si chiama Antonio Tajani».
Ironico, invece, il commento di Umberto Bossi: «Visto che il comunismo sta rinascendo un po’ nei Paesi dell’Est, abbiamo l’uomo giusto». Insomma, nei prossimi giorni verrà messo in gioco anche il futuro del vicepresidente della Commissione Tajani: il futuro ministro degli Esteri Ue sarà infatti anche vicepresidente della Commissione e occuperà l’unica casella a disposizione della stato membro di provenienza nell’ambito dell’esecutivo comunitario.
Resta un’ultima questione. Le consultazioni tra i gruppi politici e i governi dei 27 riguardano anche la scelta del futuro presidente Ue. E c’è chi già parla di corsa a due tra l’ex Cancelliere austriaco Wolfgang Schuessel e l’attuale premier olandese Jan Peter Balkenende.
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