FATTI E PAROLE

Foglio virtuale quotidiano di Brembio e del suo territorio

http://www.fattieparole.info

Si può leggere l'ultimo numero cliccando sopra, sull'immagine della testata o sul link diretto, oppure cliccando qui.
Ogni nuovo numero esce nelle ore serali, ma dopo le 12.00 puoi già leggerlo mentre viene costruito cliccando qui.

FATTI E PAROLE - ARCHIVIO
www.fattieparole.eu

La parola al lettore

Le tue idee, opinioni, suggerimenti e segnalazioni, i tuoi commenti, le tue proposte: aiutaci ad essere un servizio sempre migliore per il nostro paese.

Puoi collaborare attivamente con noi attraverso questo spazio appositamente predisposto - per accedere clicca qui - o anche puoi scriverci cliccando qui.

giovedì 19 novembre 2009

La fiction di una guerra civile

Stesso giorno stessa ora.
Rassegna stampa - il manifesto, Ida Dominijanni, 17 novembre 2009.

Stesso giorno stessa ora, ovvero: come trasformare una manifestazione di opposizione nella fiction di una guerra civile. Dev'essere questa l'idea geniale che è venuta a Giorgio Stracquadanio e Mario Valducci, i due zelanti inventori del «Sì B.Day» contrapposto all'annunciato «No B.Day» del 5 dicembre. Ma più che farsi co-sceneggiatori della fiction, aggiungendosi al coro - sensato - delle preoccupazioni per la piega surriscaldata che la giornata potrebbe prendere, conviene ragionare delle motivazioni con cui il «Sì B.Day» viene presentato. Il premuroso desiderio di «portare l'affetto del popolo italiano al presidente del consiglio», mossa squisitamente populistico-plebiscitaria, si unisce infatti all'affondo finale sulla questione della giustizia: si tratterebbe di «difendere libertà e democrazia dai tanti nemici che da quindici anni cercano con ogni mezzo lecito e soprattutto illecito di sovvertire la volontà del popolo italiano», proponendo una piattaforma «per arginare le pressioni della magistratura sulla vita politica», per arrivare infine a una legge che dica a chiare lettere che «la magistratura non può sostituirsi alla volontà popolare». Eccoci così arrivati, dopo quindici anni di approssimazioni lente e veloci, implicite e esplicite, all'osso del problema: la magistratura contro la politica, il potere giudiziario contro il potere esecutivo, il controllo di legalità contro la legittimazione del voto popolare. Chi da quindici anni segue il progressivo trasformarsi del berlusconismo da improvvisazione in ideologia sa perfettamente che del berlusconismo questa filosofia è da sempre il succo, che da sempre conseguentemente mira allo smantellamento della divisione costituzionale dei poteri e del bilanciamento costituzionale fra legittimità e legalità. Ma è doveroso segnalare perché questo «da sempre» precipita oggi in una stretta di cui Berlusconi non è l'unico responsabile. E che, se da un lato provoca importanti smottamenti all'interno della sua maggioranza - Fini e non solo - dall'altro lato si avvale di insperati alleati fuori dal cerchio della sua maggioranza.
E' il caso dell'editoriale del Corsera di domenica, in cui Ernesto Galli della Loggia ragiona sul «cortocircuito politica-giustizia» a partire dal fatto che «la peculiare vulnerabilità giudiziaria di Silvio Berlusconi ha reso la magistratura un attore politico decisivo» della scena italiana. Un inizio promettente, dal quale si potrebbe dedurre che l'origine del problema - se problema c'è - sta appunto nella vulnerabilità del premier, che non è una maledizione del destino ma un effetto delle sue azioni. Invece no, il seguito del ragionamento ribalta causa ed effetto: la magistratura è diventata un attore politico perché «il semplice fatto che il presidente del consiglio sia raggiunto da un avviso di garanzia, inquisito o addirittura portato in giudizio possiede un'indubbia e drammatica valenza politica» che i giudici hanno il potere di azionare, con in più il vantaggio di potersi tenere fuori da quegli «accordi e compromessi» cui tutti gli attori politici tradizionali e legittimi si piegano prima o poi. Morale: l'origine del problema non sta nella «vulnerabilità» di Berlusconi ma in chi la colpisce o la sanziona. Singolare tesi, che Vittorio Feltri, sul Giornale di ieri, ha infatti l'agio di tradurre per il volgo come segue: «la magistratura fa politica, quanto un partito e usa mezzi impropri, quali la minaccia delle manette e centinaia di inchieste giudiziarie, allo scopo di eliminare Berlusconi...E se è un partito, ovvio che Berlusconi se ne difenda con un suo partito». Traduzione ulteriore: Berlusconi non è sospetto colpevole di nulla: è la vittima di un partito illegittimo che vuole sopraffare la legittima volontà popolare che lo ha eletto. E' così che la favola della transizione italiana - il salvatore della patria unto dal Signore e dal popolo, che ci ha sottratti al totalitarismo comunista nascosto in agguato sotto le manette di Mani pulite - diventa ideologia eversiva, de-costituzionalizzazione organizzata.
Il cortocircuito politica-giustizia ce ne ha fatte vedere, in quindici anni, di tutti i colori, sempre con la stessa cieca prepotenza nel fronte berlusconiano e non sempre con il suffragio, nel fronte anti-berlusconiano, di una limpida coerenza. Ma alla fine della storia, e al netto delle leggi ad personam e dei fantasmi (di Craxi, del '93, di Mills e quant'altri) che perseguitano il premier da una parte, degli errori di qualche procura dall'altra, l'interrogativo rimane uno e uno solo, questo: il potere politico deve o no sottostare al controllo di legalità? Il principio di legalità che sorregge l'ordinamento costituzionale è o non è un bilanciamento necessario della legittimazione popolare? Dalla risposta non dipende solo il destino della trovata del «breve processo», ma la permanenza nel - o la fuoriuscita dal - tracciato della Costituzione.


Condividi su Facebook

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.