Molti Comuni hanno dato la disponibilità a ospitare nuove centrali.
Il piano. L’avvio dei lavori entro la fine della legislatura. Il centrosinistra: follia. il governo: un affare per il Paese.
L’Italia tornerà all’energia nucleare.
Il voto al Senato.
Rassegna stampa – Articolo di Giovanna Cavalli sul Corriere della Sera di venerdì 10 luglio.
L’Italia si riaccende di energia nucleare. Torneranno le centrali, questo prevede il ddl sviluppo che giovedì scorso il Senato ha convertito in legge con 154 voti a favore, uno contrario e un astenuto. L’opposizione è uscita dall’aula.
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Il rilancio del nucleare, assicura il ministro per lo Sviluppo Economico Claudio Scajola «sarà un affare per il Paese e uno ancora più grosso per i territori». L’opposizione lo accusa di «ritorno alla preistoria» (Legambiente) e di «follia ambientale ed economica» (Francescato, SI), ma il rappresentante del governo tira dritto: «Non possiamo farci influenzare dalle paure. Finalmente passiamo da misure di emergenza anti-crisi a riforme strutturali».
Il piano è questo: «Classificheremo i siti per sicurezza e collocazione ideale. Poi su questa mappatura sarà il mercato a decidere, l’approccio sarà di confronto e condivisione». I candidati, assicura, non mancheranno. «Abbiamo la disponibilità di enti locali ad accogliere le centrali». Posa della prima pietra entro fine legislatura. «Nel mondo sono 500, una trentina a 150 km dai nostri confini, anche Obama ne ha avviate 4, non credo che il popolo italiano sia più fesso del resto del mondo». il Paese approderà dunque a questo mix elettrico: 50% fonti fossili (oggi 83%), 25 rinnovabili (sono 18), più un 25 di nucleare. «Finora abbiamo pagato l’energia elettrica il 30% in più degli altri europei», calcola Scajola. Contento l’ad dell’Enel, Fulvio Conti: «Scelta storica, è un’opportunità strategica, faremo la nostra parte».
«È una legge di svolta, contro la politica dei no che ci ha reso dipendenti dalle importazioni di gas e petrolio», commenta Maurizio Gasparri. «Guardiamo al futuro», aggiunge Federico Bricolo, Lega Nord. «Facciamo un salto all’indietro di 20 anni con il nucleare insicuro, antieconomico e inquinante» ribatte Roberto della Seta del Pd. Negativo anche Antonio Di Pietro: «Questa è una bomba ad orologeria per la salute dei cittadini». Una «strada sbagliata» per Vasco Errani, presidente della conferenza delle Regioni. «Scelta autoritaria, la Puglia resterà verde», promette il governatore Nichi Vendola.
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Da La Repubblica di sabato 11 luglio.
Si allarga la disponibilità alle centrali. Il Pirellone: ma non è un sì preventivo.
Nucleare, la Lombardia apre, le Regioni vogliono garanzie.
Il giorno dopo l’approvazione del ddl Sviluppo è quello delle conferme. Con i governatori di Veneto e Sicilia che hanno espresso la disponibilità (e le condizioni) a discutere con il governo sulla possibile costruzione di centrali nucleari sul proprio territorio. Ma anche la Lombardia potrebbe aprire un confronto con l’esecutivo sul tema senza, però, un sì preventivo.
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Sul fronte Lombardia, dalla Regione ricordano come il presidente Roberto Formigoni abbia approvato la scelta di governo di riaprire il dossier sul nucleare. La posizione, ribadita nelle ultime settimane, è di disponibilità a sedersi al tavolo per discuterne ma con la necessità di valutare insieme eventualità, tempi e luoghi in cui procedere. Ma va considerato che in Regione è stato raggiunto l’equilibrio tra domanda e offerta di energia.
Da Il Sole 24 Ore di sabato 11 luglio, articolo di Federico Rendina.
Nucleare subito al test scorie.
Entro l’anno il governo dovrà risolvere la gestione dei rifiuti accumulati.
Occhio ai siti dove piazzare le nuove centrali atomiche italiane. Con tutti i problemi del caso. Amplificati, come da molti temuto, dalla marcia indietro delle due sole amministrazioni regionali che avevano espresso la disponibilità a favorire il rinascimento dell’atomo elettrico italiano. Sia Giancarlo Galan (Veneto) che Raffaele Lombardo (Sicilia) confermano la nuova e più prudente linea strategica. Il Veneto ne parlerà solo dopo una dettagliata anamnesi tecnico-scientifica e la Sicilia si appellerà in ogni caso ad un referendum popolare. Come a dire: tempi lunghissimi anche nelle due regioni disponibili semplicemente a parlarne.
Ma ecco emergere un ostacolo ancora più duro per l’esito del rinascimento atomico promesso con la legge “sviluppo” varata giovedì 9: la gestione delle scorie già prodotte dalla nostra attività nucleare. Anche questo tema dovrebbe essere chiarito – dispone la legge delega appena approvata – entri i sei mesi nei quali il governo dovrà definire i criteri per costruire le centrali sul territorio e possibilmente anche le prime bandierine da piazzare sulla carta geografica.
Le scorie imbarazzano davvero. Anche perché ne abbiamo in proporzioni tutt’altro che trascurabili: quelle ereditate dall’attività nucleare sospesa dopo il referendum del 1987, quale frutto dello smantellamento delle nostre quattro vecchie centrali atomiche di Trino, Caorso, Latina e Garigliano e quelle (che da sole non costituirebbero un gran problema) prodotte dalla normale attività medica e scientifica del paese.
Bene. Anzi male. Perché l’Italia, come stranoto, non riesce neanche a gestire le scorie che comunque ha. Ci dovrebbe pensare innanzitutto la Sogin, creata nel 1999 e paralizzata per lunghi anni da un doppio problema, interno ed esterno. Quello interno riguardava la sua gestione, considerata sciagurata da tutti gli osservatori ufficiali e ufficiosi: gli analisti, le commissioni parlamentari, la Corte dei Conti, l’Authority per l’energia.
Sulla macchina inefficiente, clientelare e mangiasoldi della Sogin si è detto, negli anni, di tutto. Per sintetizzare: fino al 2006 la Sogin ha speso il 38% del suo budget di gestione per svolgere solo il 6% delle sue attività programmate e imposte. Piccola, ma largamente insufficiente giustificazione: il paese, inteso come classe politica che il paese lo amministra, non è riuscito a risolvere il problema principale, ovvero l’individuazione dei criteri tecnici e logistici per immagazzinare, trattare e possibilmente “disattivare” le scorie nucleari.
Ed ecco che l’Italia, paese che rinunciato al nucleare 22 anni fa e vorrebbe ricominciare ad usarlo, si ritrova tutt’oggi con la bellezza di 55mila metri cubi di scorie radioattive prodotte dalle sue vecchie centrali, a cui si aggiungono 25mila metri cubi di detriti parimenti pericolosi prodotti dal loro smantellamento. Ci sono poi 500 tonnellate l’anno di rifiuti prodotti dall’attività medica e scientifica. Per non parlare di qualche tonnellata di scorie tra le più pericolose, parcheggiate (a caro prezzo) in Francia e in Inghilterra per un loro parziale riprocessamento ma con l’impegno di riprendercele entro una decina di anni.
Un’eredità imbarazzante, vecchia e nuova. A gestirla un po’ meglio ci abbiamo provato più volte, con clamorosi passi falsi, come quello dell’individuazione, era il 2003, del sito geologico di Scanzano Ionico: invece di seppellire in eterno le scorie il progetto è stato prontamente seppellito dalle critiche dei molti esperti e dal no a furor di popolo. Ora ci si riproverà – dice il Governo – con uno o più siti di superficie. Intanto le nostre scorie galleggiano alla bene e meglio nei siti dove erano prodotte quando eravamo nucleari: nelle vecchie centrali e nei centri di ricerca e stoccaggio ad esse collegate.
Nel frattempo, dal 2007, la sgangherata macchina della Sogin ha preso improvvisamente vigore, sotto la guida dell’ex dirigente dell’Enel Massimo Romano, nonostante la mancanza di una vera rotta sulla gestione definitiva dei rifiuti. il rapporto tra spesa e attività svolta si è invertito: l’anno scorso si è chiuso con attività di decommissioning per 46,6 milioni di euro a fronte di spese di funzionamento ridotte a 31,8 milioni.
Peccato che la Sogin abbia proprio ora il destino segnato. Il Ddl “sviluppo” ne decreta lo smembramento e dunque la scomparsa, per conferire la crema delle attività ad una nuova società pubblico-privata che in nome del rinascimento nucleare dovrebbe mettere insieme i suoi migliori operatori con le imprese nucleari italiane capeggiate, si dice, da Ansaldo Energia. Se questa sia effettivamente la soluzione migliore il dibattito è aperto. Sta di fatto che lo smantellamento di quel che aveva cominciato finalmente a funzionare rappresenta un’ulteriore incognita in una sfida già difficilissima.
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