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martedì 12 gennaio 2010

LA « CONFESSIONE » DI UNA GIOVANE MALATA DI AIDS

Quando uno sguardo sincero rivela mali nascosti e diffusi
Ha 21 anni, studia alla Bocconi, vive a Milano e appare a tutti una 'ragazza solare, normale'. Invece no: pochi mesi dopo aver compiuto diciott’anni ha scoperto che il suo ragazzo le aveva trasmesso il virus dell’Aids. Da tre anni la sua vita è cambiata dalle fondamenta: è sola, la ragazza della Bocconi, nemmeno i suoi genitori conoscono la sua situazione.
All’ospedale Sacco, dove è seguita con ogni attenzione, umana e professionale, lei (e tutti quelli come lei: due nuovi casi al giorno solo a Milano, spesso padri di famiglia totalmente irresponsabili) 'costa' millecinquecento euro al mese al servizio pubblico sanitario solo per le medicine senza contare le visite mensili e i vari controlli. E il peso insopportabile di vivere come deve vivere ora: con l’angustia di una malattia così pesante, col peso di un segreto come questo che è impossibile da dire perfino ai genitori, e che è molto difficile esprimere anche ai coetanei, con la paura che subito ti emarginino...
«Io non sono una drogata, una dai facili costumi – continua la ragazza della Bocconi –, io sono una ragazza normale che è stata per quattro anni con lo stesso ragazzo, che non lo ha mai tradito», ricevendone, in cambio, questa specie di inferno in cui l’ha precipitata. Auspica, la studentessa, una maggiore informazione su questo stato di cose (e come darle torto?), una maggiore 'educazione' che lei chiama 'sessuale'in un primo tempo, andando però subito dopo al vero 'cuore' del problema, parlando cioè di educazione all’amore o almeno alla responsabilità: «Se gli uomini smettessero di tradire le loro mogli e fidanzate, io ora non sarei malata di Hiv e non sarebbe per me così difficile trovare una ragione di vita».
Fin qui la lettera che la protagonista di questa storia ha scritto sul più diffuso quotidiano italiano. Ed è davvero difficile aggiungere qualcosa a questo quadro, così palpitante di dolore e disperazione, così drammaticamente 'convincente'. A un lettore distratto, il doloroso grido finale della ragazza della Bocconi potrebbe sembrare il testo di una 'predica' di qualche confessore vecchia maniera, di quelli insomma 'non in linea con i tempi'. Invece è questa la verità che nasce dall’impatto con la realtà dell’esistenza: il 'peccato', anche se è quello contro l’onesto uso del sesso, è sempre peccato. Significa cioè inganno, oggi come all’inizio della storia, nel giardino dell’Eden, (e doppio inganno: da parte di chi ha tradito un amore fedele e da parte di chi ha fatto credere che certe abitudini, ormai considerate 'normali', siano senza conseguenze). Significa sempre qualcosa di contrario all’amore: sofferenza, perdita di fiducia e di speranza, dolore, dolore immenso come quello che ha colpito questa ragazza che ha avuto troppa fiducia in chi non la meritava. E significa ingiustizia, non solo individuale ma anche sociale: la studentessa della Bocconi lo percepisce ancora una volta con ammirevole sincerità. Quando fa i conti di quanto grande sia la pubblica spesa per le cure ai malati come lei, per i quali la malattia era facilmente evitabile, nota: «Non mi piace l’idea di pesare sugli altri».
Ed è anche questa la spia di una coscienza retta, responsabile, attenta al bene comune, non solo al proprio.
Avessero un decimo di questa sensibilità tanti pubblici amministratori che continuano a rendersi famosi per le 'voragini' finanziarie sanitarie in cui precipitano le regioni che 'governano' (?) a causa di incompetenza, inefficienza, disonestà, devozione allo spreco, moltiplicando la spesa e minimizzando i servizi al bene primario che è la salute dei cittadini! Anche questo è peccato, e peccato sociale dei peggiori. Stavolta, è stata una 'peccatrice' come la sfortunata ragazza della Bocconi a ricordarcelo. Anche di questo le siamo grati. E anche per questo siamo umanamente e cristianamente vicini a lei e ai suoi compagni di sventura.
(Avvenire- Gabriella Sartori)

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