Agrippa, l'Umberto, la borghesia e gli «inconvenienti della società».
« ...inde apparuit ventris haud segne ministerium esse, eumque acceptos cibos per omnia membra disserere, et cum eo in gratiam redierunt ». Dev'essere che l'Agrippa Memenio Lanato autore del famigerato apologo del 493 avanti Cristo per ricondurre a ragione la plebe dell'Urbe in rivolta nella secessione del Monte Sacro fu lo stesso che dieci anni prima, eletto console, aveva sottomesso a Roma i vicini Sabini, parenti dei meridionali Sanniti. Ma insomma, che proprio d'una così tipica figura di (potente) romano antico volesse ripercorrere le gesta proprio il padano e anti-romano che più non si può, Umberto Bossi, chi se l'immaginava? Eppure, è così. La dichiarazione bossiana di ieri a proposito della lotta degli operai della Innse e del suo attuale successo - «Quella lotta ha pagato, ma ora non si deve dare il via alla lotta di classe» - sembra mutuare proprio gli argomenti e l'immagine organicista dei rapporti sociali affermata da Agrippa più di 2mila e 500 anni fa, quando il profeta del dio Po dice: «Oggi gli imprenditori sono dei poveri disgraziati. Non si deve pensare che sono contro gli operai, lavorano anche loro per il bene delle fabbriche». Appunto: l'agrippiano stomaco contro cui le membra protestano, ma che è fondamentale per la loro stessa vita. Certo, l'Umberto è un pragmatico; dunque, sottopone il suo appello all'ecumenismo interclassista ad un certo qual vincolo contingente. «Oggi», annota: oggi «non è il momento per quelle cose lì». Oggi che c'è la crisi. In verità: oggi che «quelle cose lì» possono spaventare di più, perché è ragionevole prevedere che avvengano.
Seriamente. C'è un noto passo della terza parte del "Manifesto del partito comunista", che almeno non risale a 2 millenni e mezzo or sono bensì a 161 anni fa , nel quale Karl Marx e Friedrich Engels - due buonteponi dell'epoca cui oggi, quando c'è la crisi, Time e Newsweek si sentono costretti a rendere omaggio - per descrivere «il socialismo conservatore o borghese» premettono una frase folgorante: «Una parte della borghesia desidera di portar rimedio agli inconvenienti sociali, per garantire l'esistenza della società borghese». E argomentano qualche riga dopo: «I borghesi socialisti vogliono le condizioni di vita della società moderna senza le lotte e i pericoli che necessariamente ne derivano». Come «la borghesia si raffigura naturalmente il mondo ov'essa domina come il migliore dei mondi», così questo «socialismo borghese non fa in sostanza che pretendere dal proletariato che esso rimanga fermo nella società attuale, ma rinunci alle odiose idee che di essa s'è fatto». Quindi, Marx e Engels ne riassumono la proiezione «retorica», più che programmatica: «Libero commercio! nell'interesse della classe operaia; dazi protettivi! nell'interesse della classe operaia; carcere cellulare! nell'interesse della classe operaia». Annotando: «Questa è l'ultima parola, l'unica detta seriamente, del socialismo borghese». Conclusione: «Il loro socialismo consiste appunto nell'affermazione che i borghesi sono borghesi - nell'interesse della classe operaia».
Ecco: quando queste idee si sono coniugate al cancro del nazionalismo, se n'è sviluppato un veleno della storia quale fu il nazionalsocialismo. Ossia, il nazismo - con il suo precursore nel fascismo italiano, non a caso fondato da un socialista traditore quale Benito Mussolini. Diverso, certo, l'esito dell'uso che invece ne ha fatto la Chiesa cattolica: quando, superata per forza di cose e d'interesse l'avversione alla borghesia, ha cercato comunque un controllo del "moderno" proprio attraverso l'interclassimo - e ne ha fatto la sua bandiera, come sancito dalla Rerum Novarum .
Tutto questo per dire semplicemente che, in effetti, l'accorato appello alla rinuncia alla «lotta di classe» da parte di Umberto Bossi spazza via un po' di panzane. Quelle che negli anni si sono sprecate, ad esempio, proprio a proposito della "natura" della Lega Nord: pronunciate soprattutto da parte di chi da essa s'è visto sconfitto e ne ha derivato un complesso d'inferiorità col quale in realtà sublima ogni senso di colpa nei confronti dei referenti sociali che avrebbe dovuto tutelare. Sono le panzane riassumibili approssimativamente in una, principale; e cioè che il leghismo tenderebbe a presentarsi come un nuovo "partito operaio". Una variante ne è stata l'indimenticabile definizione dalemiana della «Lega costola del movimento operaio». Definizione, quest'ultima, che quanto meno ha un che di rivelatore, su chi l'ha pronunciata e sul «movimento operaio» che rappresentava.
Il leghismo, in grazie della viva voce di chi ne fu l'inventore e tuttora ne è a capo, si presenta per quel che è: non proprio nazi-fascismo ma ad esso molto affine, benché del fascismo «romano» abbia sempre fatto un avversario simbolico; e non più egemonia democristiana ma di essa, malgrado il bossiano disprezzo per la stessa Chiesa «romana», degno successore nel Settentrione. Perché di entrambi ripropone una comune funzione, certo diversamente svolta: appunto quella di esorcizzare, per coazione più o meno brutale, gli «inconvenienti della società», a pro della conservazione del suo ordine di dominio. Come comprova il suo feroce e "aggiornato" razzismo, il leghismo tende piuttosto alla prima matrice ed è con essa che sostituisce la seconda, nei suoi territori d'elezione.
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