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sabato 17 ottobre 2009

Acqua, quanto mi costi

Acqua, nostro lusso quotidiano.
Una famiglia di 3 persone spende 253 euro l’anno per usi domestici.
Rassegna stampa - Avvenire, Paola Simonetti, 16 ottobre 2009.

Sono sorsi salati quelli che ingoiano i cittadini italiani, per i quali un bic­chier d’acqua si è trasformato in un piccolo lusso quotidiano. Nell’ultimo anno, il costo dell’«oro blu» è aumentato in me­dia del 5,4% rispetto al 2007; in otto anni, dal 2000 al 2008, l’aumento è stato del 47%, secondo recenti dati Istat. Coinvolti dal ver­tiginoso incremento 68 capoluoghi di pro­vincia, con 15 città che vedono rincari a due cifre. La Toscana, con ben 7 tra le pri­me 10 metropoli più care, si conferma la regione con le tariffe più costose: 330 euro annui, con un incremento nel 2008 del 5,8% rispetto all’anno precedente. La mappa del salasso è stata trac­ciata dall’Osservato­rio Prezzi e Tariffe di Cittadinanzattiva, che mette in eviden­za come in 12 mesi una famiglia tipo di tre persone con un consumo annuo di 192 metri cubi d’ac­qua, sostiene in me­dia una spesa di 253 euro per il servizio i­drico integrato ad u­so domestico (ac­quedotto, canone di fognatura, canone di depurazione, e quo­ta fissa o ex nolo contatori), comprensiva di Iva al 10%. Bere costa anche in Emilia Romagna (304 euro annui per famiglia, +21,4% a Parma, +10% a Ravenna), pas­sando per Marche (290 euro annui, +14,4%, ad Urbino e +11,5% ad Ancona), Basilica­ta (260 euro annui, +16,1% a Potenza e Ma­tera), Veneto (220 euro, +16,3% a Padova e +12,3% a Verona). La Campania, dal canto suo ha visto un incremento del 34,3 e 31,9% per Salerno e Benevento. Marcate diffe­renze, secondo quando rilevato da dossier, esistono anche all’interno di una stessa re­gione: in Sicilia, tra Agrigento (città più ca­ra d’Italia con 445 euro) e Catania inter­corre una differenza di 258 euro. Tariffe 'bollenti' che troppo spesso non vedono una contropartita in termini di investi­menti per migliorìe al sistema idrico, per il quale si registra un tasso medio nazionale di dispersione pari al 34%. Acquedotti co­labrodo, dunque, ma non solo. La qualità del servizio, insomma, resta carente e si continua a far pagare il canone di depura­zione anche in assenza del servizio. Dal­l’ultimo Rapporto del Comitato di Vigilan­za sull’Uso delle Risorse Idriche (luglio 2009), al 2008 risultavano infatti realizzati, secondo quanto sottolineato da Cittadi­nanzattiva, solo il 56% degli investimenti previsti, con differenze tra le regioni e al­l’interno delle stesse. A far da controcanto, in positivo, ci sono Veneto e Liguria, dove a fronte di investimenti alti, le tariffe risul­tano inferiori alla media nazionale e la dispersione idrica è bassa. «Alla luce di tutto – ha commentato Te­resa Petrangolini, segreta­rio generale di Cittadinan­zattiva –, crediamo non più rinviabile allargare le com­petenze dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas anche al servizio idrico, rafforzandola con reali po­teri d’intervento».
Ma i dati non piacciono al direttore generale di Fede­rutility, Adolfo Spaziani che sottolinea come non si possa parlare «di aumenti tariffari nell’acqua come se fosse un allarme contro la speculazione. In Ita­lia sembra che nessuno si renda conto che per un euro e mezzo, in media, l’azienda preleva mille litri di acqua, li pulisce, li por­ta in casa alla giusta pressione, li raccoglie dopo che li abbiamo usati, li depura e li im­mette di nuovo nel ciclo della natura. Per un euro e mezzo!». E sul caro-tariffe ag­giunge: «Possiamo anche decidere di ab­bassarle ulteriormente, perchè no? Basta rinunciare alla manutenzione degli ac­quedotti, agli impianti di depurazione e al­le reti fognarie. Nessun problema. Certo, i nostri figli berranno acqua direttamente dai fiumi e dai laghi e torneremo a far cir­colare le fognature a cielo aperto...».
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