Il Pd nel campo minato della politica degli «aut aut».
Rassegna stampa - Avvenire, Sergio Soave, 16 ottobre 2009.
Il meccanismo congressuale adottato dal Partito democratico, con la doppia conta degli iscritti e degli elettori, probabilmente, corrisponde alla condizione di una formazione politica che ancora non è in grado di definire in modo univoco il suo regime interno. L’effetto pratico è stata una lunghezza estenuante della prima fase e rischia di essere una estremizzazione delle posizioni nella seconda, che si rivolge a persone che, non praticando alcuna attività di partito, sono ovviamente influenzate soltanto dalla stampa e dalla televisione. I media, per loro natura, sono portati a enfatizzare gli elementi di rottura, che 'fanno notizia', mentre faticano a seguire il filo di costruzioni politiche più articolate e che si svolgono spesso sotto traccia alla ricerca non di strappi clamorosi ma di accordi e intese, ancorché parziali. Questa circostanza spinge i candidati alla segreteria a sottolineare gli aspetti polemici, tra loro e con gli interlocutori politici interni ed esterni, e la prima vittima di questa situazione conflittuale è la libertà di coscienza sui temi eticamente sensibili.
Il modo in cui è stata condotta la discussione parlamentare sulla pillola abortiva Ru 486 al Senato e sull’aggravante per omofobia alla Camera ne è un’illustrazione istruttiva e preoccupante. In ambedue i casi si partiva da un accordo procedurale – e, in parte, sostanziale – già realizzato, per poi arrivare a rotture difficili da comprendere e infine motivate col solito argomento dell’imbroglio ordito dal centrodestra e la conseguente demonizzazione dei/delle parlamentari democratici che non avevano accettato questa versione addomesticata e avevano agito secondo coscienza. Incertezze e difficoltà, peraltro comprensibili, nel gestire intese parziali con la maggioranza, si traducono, alla fine, nell’intolleranza verso chi – come Paola Binetti – preferisce mantenere una scomoda coerenza. Per questa via si è arrivati anche agli aut aut 'o lei o io' che negano alla radice il carattere inclusivo di una formazione costruita su apporti eterogenei, che ne rappresentano peraltro l’ampiamente vantato carattere innovativo. E si finisce per avanzare in direzione ostinata e contraria, nel campo minato della radicalizzazione del profilo del Pd.
Processi analoghi si verificano anche su altre questioni: basta pensare al ruolo di promozione dell’unità o almeno del dialogo tra le confederazioni sindacali, che era nella natura di un partito al quale aderiscono dirigenti confederali di varia estrazione, e che si è rapidamente trasformato nella tifoseria per le contrapposte posizioni della Cgil e degli altri sindacati, magari in qualche caso ricambiata dall’adesione di qualche leader confederale alle mozioni e talora persino alle liste di un candidato alla segreteria democratica.
Per quanto sia comprensibile che in una competizione elettorale, seppure interna a una formazione politica, l’esigenza di raccogliere consensi abbia di per sé un effetto un po’ demagogico, sarebbe preferibile che questa attitudine non tracimasse fino a degenerare in intolleranza e spirito fazioso, che alla fine, se può, forse, motivare una parte dell’elettorato acquisito, inibisce il dialogo con chi invece resta incerto, e che com’è noto diventa poi arbitro delle competizioni elettorali generali.
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