Non c’è sondaggio che tenga: il nucleare fa sempre paura. Da tempo si susseguono indagini che evidenzierebbero un atteggiamento sempre più favorevole degli italiani all’atomo (l’ultima è quella commissionata all’Ispo dall’Ain). Ma quando si arriva al momento cruciale, ossia alla scelta del sito per le future centrali, nulla sembra cambiato: tutti si tirano indietro.
La tendenza è riemersa in modo evidente all’approssimarsi delle elezioni amministrative che a marzo interesseranno 13 Regioni, 11 amministrate del centrosinistra e 2 dal centrodestra. La campagna elettorale non è ancora formalmente iniziata ma il leitmotiv già si intuisce: gli elettori possono stare tranquilli, il nucleare in quella specifica regione non si farà, e se si farà sarà solo con il pieno consenso dei cittadini.
La tendenza è politicamente trasversale, anche se ovviamente più “sentita” nel centrosinistra. Tanto che due Regioni amministrate dal PD (entrambe alle urne in Primavera) hanno già formalmente varato due atti normativi per “blindare” il ritorno al nucleare.
Ha iniziato a fine novembre la Puglia, e il 31 dicembre è stata la volta della Campania, con un articolo inserito nella manovra finanziaria di fine anno. Pressoché identico il contenuto dei provvedimenti: in assenza di precisi accordi con lo Stato sulla localizzazione, il terreno regionale è “precluso” alla realizzazione di centrali o anche di depositi per le scorie. Una mossa che si affianca al ricorso alla Consulta presentato dalle due Regioni e da altre 11 amministrate dal centrosinistra contro il potere sostituivo dello Stato previsto dalla Legge Manovra, confermato anche dalla schema di D.Lgs licenziato dal Cdm il 22 dicembre e in via di trasmissione al Parlamento. Non si può quindi escludere che altri provvedimenti simili vengano varati dalle amministrazioni di centrosinistra, in particolare quelle interessate dalla tornata lettorale: oltre a Puglia e Campania, ci sono Lazio, Piemonte, Emilia Romagna, Liguria, Toscana, Calabria, Marche, Umbria e Basilicata. Alcune di esse, peraltro, sono state direttamente coinvolte nel toto-siti degli ultimi mesi. In primis il Lazio, con due possibili località: Borgo Sabotino (Latina) e Montalto di Castro. Quest’ultima, peraltro, appare in assoluto la soluzione favorita dall’Enel. A quanto risulta a QE, in Regione ci sarebbe la volontà politica per un provvedimento normativo simile a quello di Puglia e Campania, ma le dimissioni dell'ex governatore Marrazzo costringono l'esecutivo locale alla sola ordinaria amministrazione.
Gli altri nomi circolati sono quelli di Trino Vercellese (Piemonte), Caorso (Emilia Romagna), Garigliano (Campania), Palma (Sicilia), Oristano (Sardegna), Monfalcone (Fvg) Rovigo (Veneto) e Termoli (Molise).
Il fatto che siano tutti assolutamente ufficiosi e non confermati non ha impedito il diffondersi della psicosi. E così anche chi all’inizio si era dichiarato favorevole ad ospitare l’atomo ha dovuto fare marcia indietro.
E’ il caso del governatore veneto Galan (Pdl), che ha di recente parlato dell’impossibilità tecnica di realizzare una centrale nelle sue coste, a causa del fenomeno della subsidenza. Il neo candidato alla sua successione,
l’attuale ministro dell’Agricoltura Luca Zaia (Lega), ha rincarato la dose: “Il Veneto è troppo antropizzato e non è adatto ad ospitare una centrale nucleare, meglio puntare sulle rinnovabili” ha detto pochi giorni fa.
Così, l’unico apertamente favorevole rimane il governatore siciliano Raffaele Lombardo. Che però ha di recente condizionato il sì a un referendum popolare. Evidentemente la paura di perdere consenso si fa sentire anche senza bisogno di elezioni imminenti.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.