Domani e lunedì si vota per tre referendum abrogativi riguardanti la normativa delle elezioni politiche. Si può decidere di andare a votare o di non andarci, ed anche questa modalità, l’astensione, è un atto di espressione della propria volontà elettorale, visto che per il referendum abrogativo la Costituzione prevede la necessità che partecipi al voto il 50% più uno degli elettori, il raggiungimento cioè del cosiddetto quorum.
Per chi, dunque, decida di esprimere la propria volontà elettorale recandosi ai seggi, va ricordato che comunque si possono rifiutare una o più schede e che le operazioni di voto si tengono domenica tra le 8 e le 22 e lunedì tra le 7 e le 15.
Gli italiani chiamati a votare sono 47,5 milioni a cui si aggiungono 3 milioni all’estero. Perché il referendum sia considerato valido, dovrà aver votato almeno il 50% più uno dei cittadini, cioè più di 25 milioni di italiani. In caso di vittoria del no o non raggiungimento del quorum, lo stesso referendum non può essere ripresentato per 5 anni.
La prima scheda viola riguarda la modalità di elezione della Camera dei deputati. L’attuale legge prevede che il premio di maggioranza (pari a circa il 55% dei seggi e assegnato su base nazionale) vada alla «lista o coalizione di liste» che abbia raggiunto il maggior numero di voti. Il primo quesito chiede di cancellare le parole «o coalizione di liste» attribuendo dunque il premio alla sola lista che abbia ottenuto il maggiore consenso.
La seconda scheda beige riguarda l’elezione del Senato. Anche in questo caso il quesito chiede di approvare la cancellazione della dizione «o coalizione di liste», attribuendo, dunque, il premio solo alla lista che abbia avuto il maggior consenso.
La terza scheda verde interviene sulle candidature per Camera e Senato. E propone di abrogare la possibilità per una stessa persona di candidarsi in più circoscrizioni.
I sostenitori del referendum, tra i quali non a caso il Pd e molta parte del Pdl, sostengono che se il referendum passasse verrebbe garantita una maggiore governabilità al Paese. La lista che ha più voti, Pd o Pdl, è il ragionamento, vincendo il premio di maggioranza anche con un 30% di voti o meno, avrebbe la maggioranza dei seggi in Parlamento, evitando di conseguenza un successivo “ricatto” dei partitini. Inoltre verrebbe ridotta la frammentazione poiché, cancellando la possibilità di correre in coalizione, si avrebbe come effetto l’innalzamento delle soglie di sbarramento. Con il terzo quesito secondo i referendari, ci sarebbe una possibilità di incidere sul meccanismo della “nomina” dei parlamentari, con le doppie candidature.
I sostenitori del no criticano la deriva “personalistica” che potrebbe scaturire da un sistema che assegna il 55% dei seggi alla sola lista che ha più voti (anche nel caso ottenga una bassa percentuale di consensi). Per capirci si consegnerebbe il paese a seconda dei casi a Berlusconi o al Franceschini di turno anche in presenza di un consenso minimo dell’elettorato. Inoltre il referendum non incide sul vero scandalo della legge attuale, le liste bloccate, cioè l’impossibilità da parte dell’elettore di scegliere il proprio candidato di fiducia con il voto di preferenza. Infine, con la vittoria dei sì, non ci sarebbe spazio per alcuna riforma visto che la norma sarebbe immediatamente applicabile. Anzi, la legge, il “porcellum”, ne uscirebbe rafforzata e legittimata dal voto popolare.
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